L’empatia è davvero un elemento essenziale per avere società migliori?

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Quest’estate ho letto un libro con l’intenzione di contestarlo, che ha invece cambiato profondamente alcune mie convinzioni. Si tratta del libro “Contro l’empatia, Una difesa della razionalità”, di Paul Bloom.

Pensavo che l’attacco all’empatia fosse lanciato da una persona poco esperta. Mi dicevo: “Probabilmente non conosce bene il potere dell’empatia, per quello l’attacca”. Però, quando ho avuto il libro tra le mani, il solo curriculum dell’autore ha prodotto le prime crepe nelle mie convinzioni: professore di psicologia all’Università di Yale, ha pubblicato su Science e Nature. 

Bloom non contesta l’empatia per rendere la convivenza umana più arida e egoista. Anzi, dice che per rendere le società migliori dobbiamo andare oltre il concetto di empatia, che ha tanti punti oscuri. Paul Bloom contesta soprattutto un significato attribuito all’empatia: la capacità di provare le emozioni degli altri dentro di noi

Un concetto che torna in tutto il libro è che l’empatia è come un faro che noi proiettiamo su una parte soltanto delle relazioni. Verità banale, ma da tenere presente. Se in una disputa proviamo empatia, vuol dire che capiamo una delle due persone? O comprendiamo entrambe? Bloom dice che se vogliamo avere una posizione più equilibrata, anche compassionevole, dovremmo chiamare in causa la razionalità.

C’è un caso che dimostra quanto l’assenza di empatia non renda affatto le persone peggiori. E uno che dimostra come la possibilità di comprendere lo stato d’animo altrui non renda affatto migliori.

Pizzaut, marzo 2025. I ladri rompono la porta e rubano i soldi della cassa. I ragazzi del personale, affetti da autismo, si preoccupano delle ferite notando il sangue sulle vetrate infrante. Gli autistici non sono dei campioni di empatia, ma la loro preoccupazione dimostra come si possa essere umanamente ricchi anche senza.

Gli antisociali e i sociopatici, al contrario, sono capaci di capire i sentimenti degli altri, ma sfruttano queste abilità a loro vantaggio, per fini profondamente egoistici e crudeli

In conclusione, ripensare criticamente al costrutto dell’empatia mi sta aiutando a vedere le cose più complesse di come mi apparivano solo pochi mesi fa.

Spero che aiuti anche chi legge a fare altrettanto.